La Confraternita della Pizza

  1. La pizza napoletana

    By Notturno Italiano il 16 April 2021
     
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    marinara

    Cari confratelli,

    ci ho pensato migliaia di volte, forse tutti lo abbiamo pensato, ma non è facile fissare su carta quali debbano essere i requisiti, le caratteristiche di una pizza napoletana, per poterla considerare “perfetta”.

    Perché sono tantissime, si certo, ma soprattutto perché la napoletana è una pizza che è “perfetta” in tanti modi diversi, in tante declinazioni e interpretazioni, spesso nemmeno tanto vicine tra loro.

    Pensate alla pizza di Michele e ai canotti, oppure alla napoletana di Port'Alba e di via dei Tribunali o a quella di via Gorizia, al Vomero oppure anche ai canotti, perché no...

    Sono tutte meravigliose, giusto? Magari qualcuna ci piace di più ed altre meno, ma sono sicuramente tutte splendide pizze napoletane.

    E allora quali sono le caratteristiche che queste pizze, così diverse, continuano ad avere in comune tra loro?

    Ecco, proviamo a scoprirle.

    Cercherò di fissare alcuni caratteristiche e in base a quelle, tenterò di individuare le tecniche che ne sono causa.

    Innanzitutto, direi di cominciare da qualcosa di semplice: l'aspetto esteriore.

    La pizza napoletana è tonda. Un disco di pasta.

    Normalmente le sue dimensioni coprono piatti da 30-35 cm, ma già qui cominciano le variabili.

    Eh si, perché la napoletana può diventare “esaggggerata”, transgenica, ogm, ed esondare dal piatto, come spesso accade proprio da Michele, dove servono pizze che hanno il bordo sempre fuori dal confine del piatto (e ti costringe a spostare la pizza per poterla tagliare coltello e forchetta).

    Michele utilizza panielli del peso di 280-300 grammi, tanta pasta e un impasto particolarmente “grasso” (nel senso del suo aspetto lucido e plastico, non perché contenga grassi), che si allarga a dismisura. Famoso è il gesto del pizzaiolo che sposta la pizza sulla pala e prima di infornarla ne allarga i lembi fino a farli penzolare fuori dalla pala. 35-38 cm di delizia.



    Al confine opposto troviamo le pizzette “a portafoglio”, quelle formato ridotto, 20-22 cm, che vengono cotte e conservate nelle vetrinette esterne alle pizzerie, riscaldate a pronte a portar via, che hanno dimensioni ben più ridotte, sono pieghevolissime, morbide e facili da gustare, avvolte in un bel foglio di carta, magari continuando a camminare.



    Nel mezzo tra i due poli troviamo tutto il mondo delle dimensioni intermedie.

    E noi? Ecco, veniamo al dunque.

    Le dimensioni sono importanti, sapete? (anche se c'è chi lo nega...) :-D

    Eh si, perché la pizza si suddivide fondamentalmente in due zone ben diverse:

    1) il cornicione
    2) il centro

    Sono due zone che assumono forme e strutture molto diverse tra loro.

    Il CENTRO-PIZZA
    Il centro-pizza è una sfoglia di pasta sottilissima, meno, molto meno di un millimetro, che ha la faccia inferiore cotta a contatto con la platea del forno (che viaggia sui 500°) e mostra una cottura caratteristica, con piccole macchioline scure su sfondo chiaro, una specie di maculatura che ritroveremo anche sul cornicione.

    Strutturalmente, la sfoglia del centro è così sottile da reggere a stento il condimento e si comporta proprio come se fosse un velo, al punto che la si può maneggiare come se lo fosse.



    Il centro-pizza non presenterà mai alveolature di alcun tipo, che sarebbero indizio di un eccesso di spessore.

    Al morso, la sfoglia è scioglievolissima. E la sensazione è anche acuita se il condimento sarà semplice pomodoro, olio origano e aglio, classica marinara, che ha proprio la caratteristica di enfatizzare la scioglievolezza assoluta di questa pizza.

    IL CORNICIONE



    Il cornicione è un bordo rialzato, un argine al condimento, che circonda il centro.

    E qui le variabili si fanno infinite.

    Si passa dal cornicione quasi piatto e molto largo di alcune (non tutte) pizze di Michele al cornicione stile camera d'aria di bicicletta, uniforme, tondo e perfettino, fino ad arrivare all'estremo del canotto, così ampio da rappresentare la quasi totalità dell'intera pizza.

    E' proprio la proporzione e l'equilibrio tra cornicione e centro-pizza che si deve guardare per ottenere il meglio da una pizza.

    Troppo cornicione, un canotto, e sacrificheremo il centro-pizza fino quasi ad annullarlo e questo ovviamente non ha senso.

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    Qui rientriamo nel campo del gusto personale.

    Il cornicione è la parte meno condita della pizza, dal sapore più delicato, una sorta di “pane” leggero, anzi leggerissimo, che si deve poter gustare senza alcun effetto-gomma, senza dover strappare, friabile, pieno d'aria, aromatico e piacevolmente asciutto.

    In sezione si deve ammirare una struttura alveolare, leggerissima, con ampi vuoti, ma non tubolare, che ne rappresenterebbe un difetto.

    Come pure, all'estremo opposto, un altro difetto è rappresentato dalla scarsità/mancanza di alveolatura, che renderebbe il cornicione massiccio, gommoso, pesante e poco masticabile.

    Quanto grande dev'essere? Non c'è una risposta precisa, al millimetro.

    Il cornicione ottimale (e sottolineo la soggettività di questa opinione) starà attorno ai 3-5 cm di diametro, con dimensioni elegantemente proporzionate alle dimensioni complessive della pizza.

    Eh si, perché anche in una pizza piccola, al di sotto dei 20 cm di diametro il centro-pizza risulterà sempre meno presente, in proporzione e questo vuol dire che una corretta proporzione si ottiene anche fissando dimensioni adeguate della nostra pizza.

    Un aspetto che trovo formidabile per il cornicione è la sua leggerezza, ossia il rapporto tra peso e volume.

    Un bel cornicione dal diametro di 5 cm, estremamente alveolato, risulterà molto migliore di un altro cornicione delle stesse dimensioni, ma pieno e massiccio e questo vuol dire che dobbiamo assolutamente privilegiare qualsiasi soluzione porti a un prodotto con tanto volume e poco peso.

    E qui entra in gioco il trucchetto della “vetrificazione”.

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    E' una soluzione empirica, assai semplice, che consiste nel passare sul versante interno del cornicione il dorso del cucchiaio, sporco di pomodoro.

    L'effetto sarà quello di bagnare l'impasto e rallentarne la cottura (in questo caso si parla di masterizzazione) di pochissimi secondi, ma sufficienti a consentire alla pressione dei gas, spinti dal calore, a rigonfiare più del normale la pasta, proprio perché ancora umida e plasmabile.

    Questo piccolo “turbo” dell'aumento di volume assottiglierà la pasta fino a renderla traslucida.

    Anche molto bella, secondo me, da un punto di vista meramente estetico.

    Ancora due cose sul cornicione: la mako e la regolarità della forma.

    La Regolarità della forma è importante. Il nostro occhio sa apprezzare bene le forme regolari e un bel cerchio, fatto bene, sarà sempre preferibile a una pizza-boomerang :-D

    Però, io personalmente apprezzo anche piccoli difetti della forma. Piccoli rigonfiamenti, disuniformità lievi, superficie irregolare del cornicione io le percepisco tutte come pregi, non difetti, sempre che non diventino prevalenti ed eccessive.

    Per intenderci, non riesco proprio ad apprezzare quei cornicioni perfettini e regolari, simili a camere d'aria di biciclette, lisci e uniformemente color nocciola.

    Mi fanno pensare più alla pizza industriale. No grazie, non fanno per me.

    Ultima questione, forse la più famosa e controversa: la mako

    La mako attiene all'aspetto esteriore del cornicione, al suo colore.

    E' normalmente composta da una puntinatura color castagno-scuro e in realtà è composta da una miriade di piccole/piccolissime bollicine di gas che, sottoposto al calore brutale del forno, si dilata e si colora (la parete della bollicina è più sottile della parete del cornicione e per questo si colora prima di tutto il resto).

    La particolarità è che la mako non è sempre uguale e in alcuni casi è indice di situazioni particolari.

    In linea generale, la mako è un indizio positivo. Si ottiene con due condizioni pregevoli: buona maturazione dell'impasto e alta temperatura di cottura.

    Ecco perché ci si è spesso fissati su questo aspetto esteriore (che però non tutti condividono).0

    Ne esistono molti tipi diversi: per esempio, una mako finissima ed estremamente fitta è caratteristica che pochi pizzaioli sanno ottenere. Si pensa che si possa ottenere solo a temperature estreme e facendo ruotare il disco nel forno in maniera continua e vorticosa, così da far apparire le micro-bolle (esponendo il versante alla fiamma), ma da non farle mai ingrandire.

    La mako di Michele per lungo tempo è stata un riferimento anche per tutti noi della Confraternita e personalmente ancor oggi la considero il meglio possibile.

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    E' fitta, ma non in maniera esagerata, non è piccolissima ed ha (o forse, meglio, aveva) la caratteristica di spiccare nitidamente sul fondo del cornicione, che restava molto chiaro.

    Mako scura su sfondo chiaro. Io la ottenevo con alte temperature del forno a legna (sopra i 550°), fiamma vivissima e con l'utilizzo di preimpasti di tipo semi-diretti (pasta di riporto o lievito naturale). Quando viene bene è un fuoco d'artificio che annuncia una pizza strepitosa.

    Mi son fatto l'idea che una pizza con mako scura su sfondo chiaro sia un buon indizio di cottura ottimale. La cottura a 500° non è un capriccio, è una tecnica ben motivata.

    Temperature più basse allungherebbero i tempi di cottura, portando la struttura verso una croccantezza via via sempre più accentuata con l'allungarsi dei tempi.

    Il calore infernale, invece, ustiona l'esterno della pizza e provoca la mako, ma fa appena in tempo a gelatinizzare gli amidi all'interno del cornicione (tra i 50° e i 70°), senza mai asciugare e rendere croccante l'esterno del cornicione stesso.

    Una cottura di questo tipo porterà una pizza estremamente soffice e mai croccante.

    Alcuni pizzaioli, anche napoletani, non si rifanno alla mako. Probabilmente perché optano per impasti diretti brevi (6-8 ore), poco maturati. Il loro impasto assume un sapore e un profumo caratteristico e ben riconoscibile, che io considero anche molto piacevole, sebbene non il massimo.

    Quasi sempre, questi impasti brevi e diretti presentano un uniforme color nocciola del cornicione, proprio a causa dell'azione breve/brevissima degli enzimi.

    La pizza classica italiana, invece, cuoce a 300-350° e diventa come la famosa pizza della pubblicità: rigida e leggermente croccante.

    Un ultimo tipo di mako, poi, è quello, particolarissimo, conseguenza della mancanza/scarsità di lievito

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    Non se ne sono ancora compresi i meccanismi, ma se dimenticate il lievito, oppure se risulterà troppo scarso, ecco che quella mako vi annuncerà il problema, ancor prima di assaggiare la pizza. Ovviamente, da evitare.

    Riassumiamo un momento le caratteristiche fin qui esaminate.

    Dimensioni 30-35 cm (anche maggiori, ma non inferiori).

    Centro-pizza sottilissimo e non alveolato, strutturalmente simile a un velo.

    Cornicione 3-5 cm di diametro, alveolatissimo, vetrificato e con mako fitta preferibilmente su sfondo chiaro.

    E fin qui abbiamo parlato per lo più di dimensioni e di aspetto esteriore

    Adesso ci tocca parlare della consistenza al morso, che è un argomento assai delicato, perché nasconde l'insidia sempre temuta dell'effetto-gomma

    La gommosità della pizza è dovuta a molti fattori e in particolare alla cottura brutale e brevissima (50 secondi a oltre 500°) e alla struttura della maglia glutinica.

    Un glutine troppo serrato, un paniello difficile da stendere, magari stretto troppo al momento dello staglio ed ecco che la pizza diventa un piccolo incubo.

    Il morso trova resistenza e serve tirare e strappare e non si ottiene quella scioglievolezza, friabilità e leggerezza di una pizza “sciolta” e ben strutturata.

    Scongiurare l'effetto-gomma significa anche godersi una pizza coi fiocchi, gustandosi anche il cornicione, perché risulterà piacevolissimo al morso, masticabile senza sforzi, aromatico e leggero.

    Inoltre (attenzione, ipotesi non dimostrata!) ho l'impressione che alla gommosità si associ quasi sempre anche una successiva difficoltà di digestione, ma al momento non posso averne certezza.

    Tecniche per contrastare l'effetto gomma:

    1) usare farine medio-deboli
    2) incordare poco/pochissimo, prediligendo un punto-pasta anticipato
    3) preferire l'utilizzo di impastamento a mano o di macchine che incordino poco (forcella o bracci tuffanti)
    4) preferire apretti lunghi

    Piccola annotazione sui grassi. I grassi nell'impasto riducono l'effetto gomma proprio perché ostacolano l'azione di concatenazione del glutine. Il più famoso/famigerato è la sugna.

    Il suo effetto è formidabile: la gomma scompare del tutto ma se ne percepisce la presenza e non a tutti piace.

    E non dite che “il disciplinare vieta l'uso di grassi” perché il disciplinare stg non è una legge. E' il parere (autorevole, certo) di alcuni pizzaioli. Alcuni, non tutti. Per esempio, proprio Michele si è sempre rifiutato di aderire al disciplinare.

    Un motivo ci sarà, no? ;-)

    E finalmente siamo ai condimenti, capitolo fin troppo vasto.

    Per quel che mi riguarda, mi limiterò a poche considerazioni utili a nostro scopo: la pizza ideale.

    E riguardano la mozzarella.

    Noi la chiamiamo “mozzarella”, ma dovremmo chiamarla “fior di latte”, perché a Napoli la mozzarella è solo quella di bufala.

    La pizza ha pochissimi ingredienti, per cui è decisamente urgente che siano tutti di altissima qualità. Pomodoro e mozzarella devono essere al top!

    Il pomodoro? Gustarosso, Fiammante, Torrente, Graziella, sono tutti pomodori dal gusto eccezionale, che fanno davvero la differenza tra una buona pizza e una pizza eccezionale e memorabile. Una volta provati non li abbandonate più.

    Pensate a una marinara (si capisce che io la adoro, vero?)... ha solo pomodoro, olio e due spezie, origano e aglio, eppure è una delle esperienze più vicine all'estasi che io conosca.

    Sulla mozzarella non dico marche. Non avrebbe senso.

    Molti la preferiscono asciutta e la tagliano e la fanno scolare per evitare la presenza di acqua, poi, sulla pizza. Io non sono così talebano. A me piace anche il sughetto della mozzarella. C'è Pellone, a Napoli, che fa pizze a ruota di carretto, enormi, oltre i 35 cm, con cornicioni belli panosi e leggermente croccanti e un fantastico sughetto al centro, in cui si può anche intingere il cornicione.

    Pensate che depravazione gustosissima... :-D

    L'importante, però, è che la mozzarella non appaia macchiata da puntini marroni. Quello significa che c'è stata una cottura un pochino troppo lunga.

    La mozzarella deve apparire sciolta perfettamente e candida, senza macchie. Se poi fa anche il filo è perfetta. :-D

    Poi, detto questo, si apre un mondo di pizze condite e gourmet. Va esplorato con tutta la gioia che merita.

    Ma su questo forse converrà scrivere un capitolo a parte.

    E facciamo il riassunto:


    Dimensioni 30-35 cm (anche maggiori, ma non inferiori).

    Centro-pizza sottilissimo e non alveolato, strutturalmente simile a un velo.

    Cornicione 3-5 cm di diametro, alveolatissimo, vetrificato e con mako fitta preferibilmente su sfondo chiaro.

    Consistenza al morso: friabile, sciolta e leggerissima, senza traccia di gommosità.

    Cottura a 500-550° da 50 a 60 secondi

    Condimenti: margherita e marinara di alta qualità.

    Se avete ulteriori consigli/argomenti/questioni, parliamone, confratelli carissimi....

    Parliamone.

    :D

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    Bel post. Hai detto praticamente tutto quello che c'era da dire sulla pizza napoletana. Mancano solo gli indirizzi delle pizzerie, orari di apertura e menù con prezzi.
     
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    Grazie per tutte questi spunti-sfaccettatura.
    La prima: Marinara da sogno!!!
     
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    Ottimo report maestro
     
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    CITAZIONE (Notturno Italiano @ 16/4/2021, 12:22) 
    Cari confratelli,

    ci ho pensato migliaia di volte, forse tutti lo abbiamo pensato, ma non è facile fissare su carta quali debbano essere i requisiti, le caratteristiche di una pizza napoletana, per poterla considerare “perfetta”.

    Perché sono tantissime, si certo, ma soprattutto perché la napoletana è una pizza che è “perfetta” in tanti modi diversi, in tante declinazioni e interpretazioni, spesso nemmeno tanto vicine tra loro.

    Pensate alla pizza di Michele e ai canotti, oppure alla napoletana di Port'Alba e di via dei Tribunali o a quella di via Gorizia, al Vomero oppure anche ai canotti, perché no...

    Profetizzando....
    queste parole stampate su " La pizza napoletana opera omnia" il vero sacro testo sul lievitato piu' amato al mondo scritto appunto da sua eccellenza il Priore.

    Quanto " sei spesso " Ettore ! ;) :D

     
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    Cari conFratelli, ho colto l’occasione dell’acquisto di una nuova pala da infornata, stavolta forata e di alluminio per rivedere un po’ di letteratura sul diametro atteso di una verace.
    Perché ? Perché questa nuova pala misura 30 cm e pensando subito alle mie criscitelle da 270g …. mi sono chiesto se basterà? Si, no, mah, vedremo.
    Michele, da buon napoletano, lo porto nel cuore ma non è il mio riferimento. Le sue sono margherite a forma di lenzuolo e quasi senza cornicione. Una scelta aziendale e nulla altro.
    Da giovane ho girato talmente tante pizzerie con gli amici eppure non ricordo che si sia mai fatto alcun commento sul diametro della pizza o del cornicione.
    Sarà che eravamo nel Gotha e tutti si erano formati alla stessa scuola di pensiero, che tutti usassero un FAL, ma la differenza era sentita soprattutto per la qualità degli ingredienti e il diametro non scendeva mai sotto i 30-32 cm.
    La pizza va allargata e regolarizzata sulla pala, prima di infornarla tirando il cornicione e la parte periferica del disco che è la parte meno stesa sennò si buca. Diretto o a lunga maturazione, quello che conta è che sia perfetto per soddisfare le attese di tutti. La taglia lasciamola ai pantaloni !
     
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    L'umile Cella di Notturno_Italiano

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    Opinioni tutte rispettabili.

    Solo un piccolo appunto: l'impasto di Michele non è stata una semplice scelta aziendale e null'altro, come dici tu.

    E' uno stile che ha ottenuto un successo unico al mondo. E' uno stile che in pochissimi hanno saputo imitare.

    Ma soprattutto, è uno stile a cui Michele ha saputo dare quel rispetto che lo ha indotto a rinunciare a firmare il disciplinare stg, che invece tutti i suoi colleghi hanno accolto rispettosamente, anche se alcuni mostravano di conoscerlo poco e usavano salgemma e non sale marino, per esempio.

    Michele ha rinunciato a firmare il Disciplinare. Unico tra i grandi e ha rifiutato solo per poter continuare a usare il proprio impasto.

    Dove tu ci vedi una mera scelta aziendale io vedo rispetto per il proprio lavoro, senza condizioni e senza valutazioni di convenienza.

    Ha proseguito sulla sua strada.

    Fossero tutti così.... :rolleyes:
     
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